domenica 30 luglio 2023

Un capo per amico

La prima volta che l'ho visto lavoravo da pochi giorni nella  società in cui lui non lavorava più da qualche mese. Era venuto per un pranzo con i suoi vecchi colleghi, che erano i miei nuovi colleghi. Ci fece ridere tutto il tempo, con le sue battute, con i suoi aneddoti. Anche il cameriere rideva e, alla fine del pranzo, mi sembrava di conoscerlo da tempo. 

Lo rividi per una cena e qualche aperitivo. Quando tornò a lavorare nella stessa società e diventò il mio capo, lo conoscevo ormai bene. 

Avevamo scelto una causa comune, quella di tenere in vita la società per cui lavoravamo. Era una causa persa in partenza, ma noi ci credevamo.

Abbiamo combattuto insieme per quella causa, in tutti i modi in cui abbiamo potuto. 

Me ne andai pochi mesi prima che lui annunciasse la chiusura, ma non abbandonai la nostra causa. Ricordo i nostri pranzi, con le insalate comprate da Eats, oppure i nostri caffè, in cui ci scambiavamo preoccupazioni e consigli. 

In ogni momento, ci salvava il suo senso dell'umorismo, la sua capacità di vedere il lato positivo e di strappare una risata spontanea a tutti. 

Dopo aver annunciato la chiusura della società, mi chiamò. "Non ti ho mica detto che è morto qualcuno!" esclamò ad un certo punto. 

Adesso, dopo oltre dieci anni, risento le sue parole e non posso credere che non sentirò più la sua voce, che non risponderà più ai miei messaggi. Mi mancherà per sempre. 

Dico che mi passerà ma so che non è vero. Soltanto mi abituerò e forse, adesso che l'ho scritto, sto già iniziando. 



martedì 25 luglio 2023

Una ragazza

Non ci penso quasi mai. Era un pomeriggio di fine estate del 1994, stavo andando a iscrivermi in palestra e non sapevo se poi avrei avuto voglia di andarci. Aspettavo l'autobus quando era esploso un temporale fortissimo. In pochi secondi mi ero ritrovata completamente fradicia, poi avevo sentito un rumore fortissimo dietro di me e,, quando mi ero girata,, avevo visto un albero crollato a pochi passi.

Alla fine mi sono iscritta in palestra, quella sera ho conosciuto un caro amico, qualche giorno dopo mio marito. La mia vita è continuata. 

Lei invece non è stata altrettanto fortunata e oggi voglio pensare a lei, alle cose che avrebbe fatto, al futuro che non ha avuto. La vita può essere cattiva e insensata.




sabato 22 luglio 2023

Barbie, tra film e realtà




Un giorno di ferie a luglio e piove. Il cinema resta il miglior posto in cui andare, soprattutto se è appena uscito il film più atteso dell'anno: Barbie. Un film che si preannuncia demenziale fin dai trailer, fin dai vestiti di Margot Robbie, che sembrano una caricatura della mostra infanzia, quando il massimo della trasgressione era un vestito lungo, per poi scoprire, appena qualche anno dopo, che preferivano le minigonne. Eppure, fin dai trailer, traspariva l'ironia dell'interpretazione di Margot Robbie, una che è intelligente proprio perché sa ridere.

Bastava questo: vedere Margot Robbie vestita da Barbie, che si diverte,per aver voglia di andare a vedere il film. 

E poi c'è Ryan Gosling, forse ancora più ironico, perché lui interpreta Ken, la spalla della protagonista, quello che c'è quando serve, e che non importa dove sia quando non serve. 

La settimana scorsa Danda Santini scriveva che sua madre non le ha mai comprato una Barbie, perché non la considerava una vera bambola. A me la Barbie la comprò mia madre, quando io non mi ero ancora accorta che esistesse. Sicuramente in seguito ebbe modo di pentirsi, perché quella prima Barbie si portò dietro uno stuolo di sue simili, di varie etnie, di Skipper, di vestiti, scarpe, docce, roulotte e piscine. Persino un Ken.

Io credo che la Barbie sia una bambola formativa per la vita di una bambina proprio perché non è una bambola canonica, a cui devi fare da madre. Barbie è Barbie, che vive per se stessa, che si sceglie una professione, i vestiti, cosa fare della sua vita e delle sue giornate. Attraverso Barbie le bambine di varie generazioni hanno sognato il loro futuro, quel momento in cui sarebbero state grandi e avrebbero potuto scegliere le loro giornate senza più chiedere il permesso di fare qualcosa. 

Non importa se poi nella vita adulta quelle bambine hanno fatto altro da quello che avevano immaginato, tipo indossare una minigonna invece che un abito lungo. Quei pomeriggi di giochi hanno fatto capire loro che potevano decidere e essere. 

Da quello che avevo sentito, mi aspettavo la solita retorica femminista e vittimista, ma non è stato così. Mi è piaciuto il legame tra Barbieland e il Mondo Reale, i pensieri di chi gioca con le Barbie che si riflettono sulle bambole. Mi è piaciuto che finalmente si dicesse che può essere più facile vivere in secondo piano, cedere ad altri il potere di decidere. Mi è piaciuto che prevalga la voglia di fare quello sforzo e di uscire allo scoperto, nonostante la fatica che costa prendersi quello a cui troppo spesso si rinuncia. E infine mi è piaciuto il superamento della logica da toilette, di quella linea di demarcazione tra uomini e donne, la consapevolezza che nessuno debba prevalere.

Mi è piaciuto meno quello che ho visto in sala. 

Nonostante fosse un pomeriggio in settimana, c'erano parecchie persone, quasi tutte donne. C'erano ragazze con addosso qualcosa di rosa, quasi tutte con dei top, alcune con addirittura la scritta Barbie. 

Purtroppo alcune con la pancia che strabordava dallo spazio tra il top e la gonna e un enorme secchio di popcorn appoggiato accanto, nello spazio apposito del poggiabraccio. Perché nei cinema di adesso non può mancare lo spazio per i popcorn. E anche le dimensioni devono essere esagerate e enormi. Così come non possono mancare dei bicchieroni di bibite zuccherate. Sono dimensioni e cibi che abbiamo importato dagli USA, come Barbie. Eppure Barbie, con il suo fisico troppo perfetto, con i suoi vestiti invidiabili, non è riuscita a far venire voglia alle ragazze di alimentarsi in modo sano, non tanto per entrare in quei vestiti, ma per non compromettere la propria salute.