venerdì 24 aprile 2020

Milano prima

Il giorno in cui compii cinquant’anni avevo un grosso pacco di dolci e andai al lavoro in macchina. Era da tanto tempo che non andavo in macchina nel traffico della mattina, ormai sono abituata a prendere la metropolitana a pochi metri dal portone di casa mia, e a riemergere dall'altra parte della città (che, per quanto è diversa, potrebbe anche essere l'altra parte del mondo), senza vedere le strade che ho percorso, senza avere un'idea di quello che si svolge sopra. Il traffico della metropolitana è fatto di borse che non si sa dove mettere, di telefoni, di porte che non si chiudono. Il traffico della strada è diverso. È’ un traffico più vecchio, quello disordinato e un po' imprevedibile di un semaforo che diventa rosso, di un pedone che attraversa all'improvviso, dove non ci sono le strisce. Oppure un altro pedone, che attraversa dove le strisce ci sono e sembra che ci sia solo lui, invece appena ti fermi, ne arrivano altri dieci e non finiscono più di attraversare. E poi quella mattina c'era il sole e in macchina non si sentiva neanche il vento, che una volta mi piaceva e adesso mi irrita.
Milano era bella, quella mattina. Erano belli i palazzi dei viali della circonvallazione interna, era bello il traffico veloce e disordinato, che è lo stesso da sempre, e veniva da chiedersi se davvero vogliamo eliminare tutto questo per fare spazio ai monopattini e alle biciclette, con il rischio di usarli anche per fare due metri. Il bello della città è di essere diversa dalla campagna, renderla uguale non ha senso. Poi qualcuno può anche preferire la campagna e resta libero di andarci. Io preferisco il mare, ma la mia vita è la città e quella mattina era bello ritrovarla uguale a come è sempre stata.
Milano è forse l'unica città italiana, e una delle poche europee, a non essere provinciale. Te ne rendi conto appena vai in un’altra città e allora mai come in quel momento, quando ti guardi attorno in un’altra città, ti rendi conto di quanto tu sia milanese, di quanto questo tuo essere milanese sia parte di te. Nelle altre città ci sono i riti del passeggio, della cura nel vestire, c'è una maggior coesione sociale. A Milano gli inverni sono lunghi, umidi, freddi; nella città della moda nessuno ha voglia di vestirsi bene, e allora indossiamo una giacca e i pantaloni neri, così non si vedono gli schizzi di pioggia, visto che quei pantaloni dovremo tenerceli addosso tutto il giorno. E, visto che dovremo tenerceli addosso tutto il giorno, quei pantaloni neri devono essere anche comodi. Gli unici che si vestono bene sono quelli che vengono da fuori e noi, quando li vediamo, agghindati e tremanti di freddo, ci chiediamo dove credano di andare. Dopo un po' però anche loro capiscono che non vale la pena e si abbandonano alla nostra sciatteria, pur continuando a non capirla.
Le estati, invece, quando sono vere estati, sono torride, si consumano nelle serate sui navigli e nelle giornate a cercare l’ombra per le strade assolate, in attesa di partire. Eppure quell’attesa di partire, negli ultimi giorni frenetici di lavoro, quel bisogno di incontrarsi, di vedersi, di salutarsi e di vivere tutto quello che offre la città rende le estati il momento più bello e forse più vero, quello in cui il passato e il presente sono più vicini e sembra che non si siano mai staccati.
A Milano non si passeggia, si cammina di fretta anche quando si avrebbe tempo. Nessuno ti guarda perché quasi mai qualcuno ti vede. E quando ti vede, il più delle volte, non gli interessa. Questo è quello che scoccia di più a quelli che vengono da un'altra città. E allora pensano che nessuno li guardi proprio perché vengono da fuori, perché hanno il golfino della marca sbagliata o il vestito di un colore fuori moda. Scambiano per snobismo quella che è soltanto mancanza di interesse. 
In molte città europee alla domenica i negozi sono chiusi anche in pieno centro e i ristoranti chiudono alle 14. A Milano questo è impensabile. I ristoranti sono una delle cose migliori, uno degli aspetti più belli, che rendono vivibile questa città nonostante tutto il resto. Ma pochi lo sanno, come pochi si rendono conto che l’offerta culturale è ampia, con mostre, spettacoli teatrali, eventi e presentazioni di libri.
Questa almeno è la Milano che ho conosciuto nei miei primi cinquant’anni di vita, la Milano di cui ho parlato nei miei racconti.
Pochi giorni dopo il mio compleanno è successo invece l’impensabile, quello che mai ci si sarebbe aspettati: Milano si è fermata, si è spenta. Si è fermato il lavoro, si sono chiusi i ristoranti, i cinema e i teatri. Le strade sono diventate vie spettrali, attraversate da qualche macchina appena, percorse da poche persone, con il viso coperto da una mascherina o da qualsiasi cosa potesse sostituire una mascherina, che stavano bene attente a non incrociarsi sui marciapiedi e, se proprio dovevano, a stare il più lontano possibile. Questa è una Milano che non conosco, che non voglio conoscere, che mi è estranea come ci sarebbe estraneo il volto sfigurato di qualcuno che amiamo. Guardare quel volto fa male e si può solo aspettare che guarisca.

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