sabato 2 ottobre 2021

La 194

Il testo della legge 194 lo lessi intorno al 1996, più o meno quando, con indicibile rirardo, la violenza sessuale diventò reato verso la persona invece che verso la morale. Il testo della legge 194, quando avevo meno di trent'anni, mi fece inorridire perché ci trovai gli inchini e i compromessi con un moralismo ipocrita. Quel moralismo appiccicoso contro cui ero andata a sbattere molte volte nella mia esistenza fino ad allora e da quel senso di appiccicaticcio mi aspettavo che saremmo riuscite però a ripulire il mondo, o perlomeno il nostro paese. Per me la decisione di abortire era e resta una decisione difficile e devastante, che porta già in sé un enorme disincentivo: se una donna decide di abortire merita solo rispetto e silenzio, oltre che di ricevere le migliori cure possibili. 

Con il senno di poi, la legge 194 era la miglior legge che si potesse ottenere a quei tempi, alla fine degli anni Settanta, e l'obiezione di coscienza che, alla fine degli anni Novanta, mi sembrava assurda, un gesto di tolleranza e civiltà nei confronti di chi quella professione l'aveva scelta quando le regole erano diverse, quando l'aborto era illegale. Una tolleranza che però poche altre volte ho ritrovato in modo così assoluto. Ma che dire adesso, che l'aborto - piaccia o meno - è legale da quando molti medici non erano ancora nati? Ha davvero senso che adesso qualcuno scelga una professione e poi obietti? È accettabile, nel 2021, sentir parlare ancora di aborti clandestini?  La legge 194 andrebbe toccata e ripulita definitivamente da quella patina appiccicosa che la imbratta. E invece, ancora intrise di quella patina, additiamo una statua, perché ha il vestito che scopre un corpo sbagliato. 


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