domenica 24 ottobre 2021

Noi milanesi


Domenica mattina, cappuccino e Io donna. Il risveglio pigro di un giorno di tregua tra due settimane di lavoro e di frenesia. Quella pigrizia che io amo proprio perché amo il lavoro e la frenesia.
Da giovane mi è capitato di passare dei lunghi pomeriggi domenicali di grande noia, in cui aspettavo il lunedì perché io amo il lunedì, la ripresa della vita, delle corse. Amo poi anche la domenica, quando posso finalmente dormire, ma la amo di più quando la stipo di impegni, di cinema, teatro, giri in libreria e tutte quelle cose che mi piace fare e il tempo è sempre troppo poco. 
Qualche sera fa, mentre sistemavo un cassetto, ho notato che ho così tanti pigiami che non riuscirei a metterli tutti nemmeno se dormissi tutta la vita, senza fare nient'altro. E ho così tanti libri che non riuscirei a leggerli tutti nemmeno se leggessi e basta per tutta la vita. 
Perché noi milanesi siamo così e Milano frenetica e di corsa lo è sempre stata fin dai tempi di Ludovico il Moro. La frenesia, la voglia di fare e di rubare tempo al tempo sono sempre state nel suo DNA. Per questo la Milano di Sala non è la Milano dei milanesi. È la Milano di quelli che vengono da fuori, che non hanno avuto nonni milanesi. È la Milano di quelli che cercano la "misura d'uomo" e sono convinti che quella misura sia spostarsi di appena quindici minuti. Una Milano fatta di quartieri, che ricalcano quei paesi sparsi per l'Italia, dai quali loro provengono, dimenticando di essere venuti qui proprio per trovare altro e che Milano offriva altro proprio perché non era così. Un giorno si accorgeranno tutti di avere sbagliato e i politici si accorgeranno di aver sbagliato ad avere abbandonato Milano, dimenticando che i grandi processi politici sono partiti da qui. Togliere Milano ai milanesi, snaturarla, è un errore, ma forse se ne accorgeranno tardi. Per ora Milano sarà governata da un sindaco che ha stravinto e che, forte di questa vittoria, potrà dimenticare di essere stato votato solo dal 27% degli abitanti, potrà continuare a ignorare chi, non sentendosi rappresentato, non ha votato, potrà continuare a costruire piste ciclabili fantasiose, bloccare le auto e nello stesso tempo anche i tornelli del metrò, perché i treni sono troppo affollati da persone che devono andare a lavorare.
E anche su Io donna trovo Milano e noi milanesi, raccontate da Michela Proietti, che ci racconta come ci vede chi viene da altre città, con l'ironia simpatica e divertente, che costruisce un ritratto in cui però non mi riconosco. Un ritratto in cui non possono ritrovarsi le nipoti delle donne com'era mia nonna. Eppure ho comprato il primo libro della Proietti e forse comprerò anche il secondo. Perché è bello scoprirsi per come si appare e è bello anche che ci sia questo interesse per le milanesi, per la milanesità (se questo termine ha un senso) che non c'è per le abitanti di nessun'altra città.
E poi, a distanza di qualche pagina, c'è un'altra milanese, una donna di cinquant'anni, che mi piace per la cultura e l'intelligenza non ostentate ma che emergono da ogni sua risposta, una donna che ha vissuto la Milano anni Ottanta che ho vissuto io. In quegli anni frequentavamo lo stesso liceo, io e Federica Fracassi. Non mi ricordo di lei, credo che non ci siamo mai parlate, anche se magari qualche volta le nostre strade si sono incrociate sulle scale del nostro liceo. Peccato. Peccato che non ci sia capitata l'occasione di conoscerci in quegli anni, che adesso sembrano felici e spensierati, perché i crucci di allora sono dimenticati e resta solo il ricordo di tutta quella voglia di correre e di buttarsi nella vita. Tutto quello che allora mi faceva scoprire di amare il lunedì. 

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