martedì 31 agosto 2021

La palestra


La dottoressa della palestra mi ha detto che bisogna perseverare e non lasciarla. Fosse facile: è stata chiusa per mesi e quando stai tanto senza andarci è un attimo non andarci più. Poi, faticosamente, ricominci e non riusciresti più a smettere.

Mentre preparavo la borsa mi veniva quasi da piangere, cercavo di ritrovare i gesti che non facevo più da troppo tempo. Era come rientrare negli abiti di una persona che amavo, la persona che ero e che questi mesi mi hanno un po' portato via. 

Mi sono iscritta il 31 agosto 1994, credevo che non ci sarei andata mai, invece dopo poco tempo mi sono resa conto che era la cosa che mi faceva stare meglio. Tranne nei brevi intervalli che sono seguiti a due interventi, ci sono andata sempre, tre volte la settimana, senza saltare, anche se arrivavo tardissimo e avrei avuto voglia di correre a casa, ma, dopo la doccia, ho sempre pensato: "Meno male che sono venuta!"

Ventisette anni fa ho conosciuto in palestra un ragazzo che non sopportava "chi in palestra faceva salotto", chi faceva la panca con meno di 50 kg, che quando occupava la  macchina dei femorali ci stava tantissimo, alternandosi  con un altro. Qualcuno lo chiamava il Coach.

Circa un anno dopo ero alle Messaggerie Musicali con un'amica, eravamo appena tornate da una vacanza negli Stati Uniti, e l'ho visto, esattamente un piano sotto il punto in cui anni prima avevo trovato il primo libro di Heine. Aveva preso un disco, guardava la copertina, e io mi ero fermata a guardarlo. "È un ragazzo che viene in palestra," ho detto alla mia amica.

Quel giorno non sapevo che avrei sposato il Coach. 

martedì 24 agosto 2021

Rientro


L'ultima sera è apparsa la tartaruga. L'avevo cercata per tutta la vacanza, poi l'ultima sera l'abbiamo trovata, che passeggiava in giardino.

Luglio è lunghissimo, le due settimane di vacanza invece passano in fretta, si consumano tra bagni, passeggiate sulla spiaggia, letture, cene all'aperto. E la fine arriva sempre prima di quanto ci si aspettasse.

La penultima sera, al ristorante, in mezzo a un gruppone, c'era Ligabue. Lo guardavo, incerta che fosse lui, poi mi ha sorriso, e allora ho capito. I ragazzi accanto a noi volevano fare una foto ma non gliel'hanno chiesto perché stava mangiando. Erano giovani, avevano vissuto la vacanza in bilico tra la voglia di dormire e quella di vedere tutto, di non perdere neanche un minuto. Mi hanno ricordato noi, le nostre prime vacanze, che sembrano vicine e che invece sono lontanissime.

Nel frattempo sono entrati altri due ragazzi, hanno visto Ligabue e gli hanno chiesto di fare una foto, senza farsi tanti problemi. E lui l'ha fatta, senza tante storie. Così, per l'ennesima volta, ho pensato che a tirarsela non è mai chi avrebbe motivi per farlo, ma chi di motivi non ne ha proprio, come le signore di una certa età, che credono di trattenere brandelli di giovinezza con una borsa di marca e la puzza sotto il naso, oppure la compagna di un comico, che sale in aereo semisvestita, ma che sarebbe disposta a tutto pur di essere con lui, e non le importa se nemmeno l'aiuta a prendere la valigia dal nastro. 

domenica 15 agosto 2021

Ferragosto

"Hai mai provato la Nutella con i Tuc salati?"

"A me piace con i cracker."


"Ho visto la Lamborghini Urus."

"Se l'hai vista allora arriva,"

"È quindi? A me non piacciono i diamanti."


"Guarda che bella foto che ho fatto... Oh scusi, l'avevo scambiata per mio marito!"


venerdì 13 agosto 2021

Anfore

 Queste anfore le conosco bene perché ho cenato tante sere nel ristorante sopra la spiaggia del Pevero, una costruzione grandiosa, eppure completamente integrata nella natura, in cui si alternano archi di pietra e e spazi vuoti. E poi c'è la terrazza, nascosta e ampia, da cui ogni tanto si sente il fruscio dei cinghiali, che passano nel bosco poco sotto.

"Come mai quest'anno non avete aperto?" ho chiesto.

La risposta è stata un sospiro triste.

"Abbiamo trovato a malapena il personale per mettere in piedi la squadra qui, sulla spiaggia."


giovedì 12 agosto 2021

Costa Smeralda

Poi arriviamo qui e sembra che non ce ne siamo mai andati, sembra che non abbiamo saltato un anno, sembra che tutto sia uguale a prima. Solo ci sono le mascherine e è tutto un mettere e togliere, visto che qui si entra e si esce da un'altra parte. E appena andiamo in spiaggia e qualcuno ha ancora la mascherina abbassata, vediamo una squadra di massaggiatori cinesi, che girano tra gli ombrelloni, offrendo la loro arte. Incredibilmente trovano anche chi questa arte la apprezza e la richiede, così passano da un ombrellone all'altro, da una persona all'altra, spargendo l'odore dei loro oli, sciacqandosi a malapena, ogni tanto, le mani nel mare, in un modo che era contro ogni principio igienico già nell'epoca pre-covid. Chissà se tutti questi amanti dei massaggi sono stati favorevoli al lockdown e adesso benedicono il green pass! E chissà se tra un po' ci diranno che sono aumentati i contagi per colpa dei giovani che vanno nei locali, oppure se ci diranno che la colpa è anche dei meno giovani, che vogliono i massaggi ma non vanno nei centri estetici che rispettano i protocolli e che assumono dei professionisti.


Questo blog era nato per tutt'altro motivo, doveva essere una specie di guida ai ristoranti e agli alberghi in giro per l'Italia e l'Europa. Invece abbiamo smesso di andare negli alberghi e nei ristoranti e anche lo scopo di questa pagina è cambiato. A dire la verità non ha più nemmeno uno scopo preciso. Quando arriviamo ai Frati Rossi però tutto sembra rimasto come prima, come nel 2019. 

Il primo anno che siamo venuti in vacanza qui vedevamo il cartello con le indicazioni, ma passavamo oltre. Poi l'ultima sera avevamo prenotato in un ristorante che ci avevano consigliato e, arrivati lì davanti, non ci piaceva proprio. Non avrebbero fatto fatica a rimpiazzarci, noi invece avremmo fatto fatica a trovare un altro posto per cenare. Allora ci è venuto in mente I Frati Rossi. Per la prima volta ci siamo arrampicati sulla collina della Pantogia, con l'impressione che la macchina a noleggio non ce la facesse a salire su quelle salite così ripide. Non sapevamo bene dove stessimo andando, ma ogni tanto nel buio appariva un cartello che ci indicava la direzione. Abbiamo insistito e alla fine siamo arrivati in questo luogo magico e un po' nascosto. Un locale e nello stesso tempo un giardino meraviglioso. Non c'era posto e siamo partiti con il rimpianto di non esserci stati. 

Quando siamo tornati, due anni più tardi, avevo prenotato da Milano per la prima sera e abbiamo scoperto il loro fantastico pesce al coperto, oltre alle paste ricche di crostacei. E poi il gelato alla ricotta e al cioccolato piccante. Non ci ha mai deluso e quando arriviamo la prima sera è sempre qui, ad aprire le vacanze continuando quelle precedenti dal punto preciso in cui le avevamo lasciate. 


giovedì 5 agosto 2021

Sport

"Non hai fatto le Olimpiadi, non puoi capire" è diventato il nuovo "Non hai figli, non puoi capire."

Le Olimpiadi rendono particolarmente irritabili soprattutto quei genitori che da anni accompagnano i figli in piscina o in qualche palestra e si rivedono nei campioni olimpici. Non che i loro figli siano campioni, è solo che loro si sentono proprio campioni (in fondo hanno fatto parecchie strade e parecchio tifo nella loro vita). Un'eccezione c'è: mio suocero, che ancora oggi sbuffa al ricordo, tutt'altro che glorioso, delle strade fatte per portare e riprendere mio marito dagli allenamenti in piscina. Ma è appunto un'eccezione. Per tutti gli altri no, se tu hai fatto qualsiasi altro sport, non a livello agonistico (seppur brocco), non sai cosa sia fare sport e la tua opinione non è accettata, non puoi capire, non puoi sapere, non puoi nemmeno lamentarti dei giornalisti che trasformano una vittoria olimpica in una lezione di catechismo e il catechismo te lo fanno pure loro. 

Non che non sia stato bellissimo vedere Jacobs che tagliava il traguardo e abbracciava Tamberi, a bordo pista, avvolto nella bandiera dell'Italia, dopo aver appena vinto un oro. Quella è una delle scene che ti fanno amare l'amicizia e lo sport, ma, proprio per questo, non avvolgiamole in una melassa appiccicaticcia, lasciamo che queste scene siano felicità e amicizia e sogni realizzati. Invece no, loro, quei genitori lì, che hanno fatto le strade e il tifo, che hanno ospitato i compagni di squadra nelle loro case, la retorica la vogliono e vogliono anche la melassa, perché loro sanno quello che nessun altro può sapere. 

Eppure anch'io qualche partita a tennis l'ho persa. Ma il ricordo della mia partecipazione a un torneo di tennis ha poco a che vedere con il tennis in sé. È uno di quei ricordi di cui non si parla mai, che si vorrebbero dimenticare, ma che restano sempre lì, in tutto il loro disgusto.

La partita era un sabato pomeriggio, avevo preso l'autobus che ormai avevo imparato a prendere da un po', memorizzando la fermata e prenotando appena superata quella precedente. Non ricordo come fu che si avvicinò. So che iniziò a parlare, che notai subito qualcosa di strano in lui, l'impressione che fosse uno squilibrato la ebbi dall'inizio. Cercai di assecondato, sperando di liberarmene in fretta. Aveva circa vent'anni, io dieci o undici, ero una bambina, un'eternità ci separava. C'erano altre persone sull'autobus, qualcuno ci guardava, ma nessuno disse niente, nessuno fece niente, neanche quando mi tirò contro di lui. Sentivo le sue mani, non sapevo come allontanarlo. A ripensarci adesso, avevo la racchetta di legno, ma non credo che mi sia venuto in mente di usarla. Non sapevo cosa fare ma uno scontro fisico sarebbe stato svantaggioso. Quando arrivò la mia fermata, speravo che restasse sull'autobus, invece scese con me. Forse a fargli venire qualche remora fu il bar davanti alla fermata. O forse ebbe paura di altro. Mi accompagnò fino al portone del tennis, dal vetro avrebbero potuto vedermi, ma erano troppo lontani per sentirmi se avessi urlato. Schiacciai il pulsante del citofono, furono pochi minuti, lui era lì, adesso un po' distante, forse indeciso. Adesso rabbrividisco al pensiero di come sarebbe potuto finire. Bastava poco, in quella manciata di istanti, in quella sua indecisione, fui fortunata.

Giocai la partita senza nessun entusiasmo, contro una ragazza un po' più grande, gentile e carina, accompagnata dai genitori, che fingevano di tifare per me. Non potevano sapere che non pensavo ai punti della partita ma a quelle mani addosso, a quello che avrei fatto se l'avessi ritrovato all'uscita. Invece all'uscita non c'era, ripresi l'autobus nella direzione inversa e tornai a casa, mi fermai in cortile, continuai la mia vita di bambina e resta solo il ricordo di un episodio spiacevole.

Forse qualche volta mi è capitato di rivederlo, di incrociare lo sguardo, di riconoscerlo o di credere di riconoscerlo. Ma ero adulta, in grado di difendermi, non mi faceva più paura, solo rabbia. Magari è per questo che non amo gli agonismi e le competizioni: la prima volta non andò molto bene.