giovedì 5 agosto 2021

Sport

"Non hai fatto le Olimpiadi, non puoi capire" è diventato il nuovo "Non hai figli, non puoi capire."

Le Olimpiadi rendono particolarmente irritabili soprattutto quei genitori che da anni accompagnano i figli in piscina o in qualche palestra e si rivedono nei campioni olimpici. Non che i loro figli siano campioni, è solo che loro si sentono proprio campioni (in fondo hanno fatto parecchie strade e parecchio tifo nella loro vita). Un'eccezione c'è: mio suocero, che ancora oggi sbuffa al ricordo, tutt'altro che glorioso, delle strade fatte per portare e riprendere mio marito dagli allenamenti in piscina. Ma è appunto un'eccezione. Per tutti gli altri no, se tu hai fatto qualsiasi altro sport, non a livello agonistico (seppur brocco), non sai cosa sia fare sport e la tua opinione non è accettata, non puoi capire, non puoi sapere, non puoi nemmeno lamentarti dei giornalisti che trasformano una vittoria olimpica in una lezione di catechismo e il catechismo te lo fanno pure loro. 

Non che non sia stato bellissimo vedere Jacobs che tagliava il traguardo e abbracciava Tamberi, a bordo pista, avvolto nella bandiera dell'Italia, dopo aver appena vinto un oro. Quella è una delle scene che ti fanno amare l'amicizia e lo sport, ma, proprio per questo, non avvolgiamole in una melassa appiccicaticcia, lasciamo che queste scene siano felicità e amicizia e sogni realizzati. Invece no, loro, quei genitori lì, che hanno fatto le strade e il tifo, che hanno ospitato i compagni di squadra nelle loro case, la retorica la vogliono e vogliono anche la melassa, perché loro sanno quello che nessun altro può sapere. 

Eppure anch'io qualche partita a tennis l'ho persa. Ma il ricordo della mia partecipazione a un torneo di tennis ha poco a che vedere con il tennis in sé. È uno di quei ricordi di cui non si parla mai, che si vorrebbero dimenticare, ma che restano sempre lì, in tutto il loro disgusto.

La partita era un sabato pomeriggio, avevo preso l'autobus che ormai avevo imparato a prendere da un po', memorizzando la fermata e prenotando appena superata quella precedente. Non ricordo come fu che si avvicinò. So che iniziò a parlare, che notai subito qualcosa di strano in lui, l'impressione che fosse uno squilibrato la ebbi dall'inizio. Cercai di assecondato, sperando di liberarmene in fretta. Aveva circa vent'anni, io dieci o undici, ero una bambina, un'eternità ci separava. C'erano altre persone sull'autobus, qualcuno ci guardava, ma nessuno disse niente, nessuno fece niente, neanche quando mi tirò contro di lui. Sentivo le sue mani, non sapevo come allontanarlo. A ripensarci adesso, avevo la racchetta di legno, ma non credo che mi sia venuto in mente di usarla. Non sapevo cosa fare ma uno scontro fisico sarebbe stato svantaggioso. Quando arrivò la mia fermata, speravo che restasse sull'autobus, invece scese con me. Forse a fargli venire qualche remora fu il bar davanti alla fermata. O forse ebbe paura di altro. Mi accompagnò fino al portone del tennis, dal vetro avrebbero potuto vedermi, ma erano troppo lontani per sentirmi se avessi urlato. Schiacciai il pulsante del citofono, furono pochi minuti, lui era lì, adesso un po' distante, forse indeciso. Adesso rabbrividisco al pensiero di come sarebbe potuto finire. Bastava poco, in quella manciata di istanti, in quella sua indecisione, fui fortunata.

Giocai la partita senza nessun entusiasmo, contro una ragazza un po' più grande, gentile e carina, accompagnata dai genitori, che fingevano di tifare per me. Non potevano sapere che non pensavo ai punti della partita ma a quelle mani addosso, a quello che avrei fatto se l'avessi ritrovato all'uscita. Invece all'uscita non c'era, ripresi l'autobus nella direzione inversa e tornai a casa, mi fermai in cortile, continuai la mia vita di bambina e resta solo il ricordo di un episodio spiacevole.

Forse qualche volta mi è capitato di rivederlo, di incrociare lo sguardo, di riconoscerlo o di credere di riconoscerlo. Ma ero adulta, in grado di difendermi, non mi faceva più paura, solo rabbia. Magari è per questo che non amo gli agonismi e le competizioni: la prima volta non andò molto bene. 


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