sabato 28 maggio 2022

Bombshell


Finalmente ieri sera ho visto Bombshell, un film di cui avevo sentito tanto parlare e che non sapevo se mi sarebbe piaciuto. E invece mi è piaciuto molto. In parte per la bravura degli attori, in parte per gli spunti che offre. Eppure c'è qualcosa in questa storia che mi riporta sempre lì, su quel discorso così complicato delle molestie, che in realtà complicato non dovrebbe essere perché è molto semplice: le molestie si rifiutano, si oppone un muro e non si deve lasciarlo scalfire, fine. La donna che cede alla molestia, che la accetta per ambizione, per raggiungere una posizione diventa parte di quel sistema, lo legittima e mette fuori gioco le altre, quelle che la rifiutano, quelle che pur volendo quella posizione non vogliono raggiungerla così. Guardando questo film mi sono sentita ancora una volta dalla parte delle altre, quelle che non conosciamo, perché si sono opposte alla molestia e proprio per questo sono rimaste nell'oblio. E magari, se la competizione si fosse svolta con altre armi, sarebbero state loro quelle famose. Ma non possiamo saperlo perché le donne che hanno accettato la molestia hanno deciso diversamente. E no, non sarò mai dalla parte di chi ha fatto carriera e ha raggiunto determinate posizioni (forse anche a scapito di altre donne) e poi, una volta ottenuto il potere, si sveglia e denuncia la molestia. Non vedo grandi differenze tra queste donne e l'uomo che le ha molestate.


E no, non è che bisogna trovarcisi per parlare perché io mi ci sono trovata e il mio stupore è stato nel vedere lo stupore di un uomo abituato a non vedersi mai opporre un rifiuto perché tutte quelle prima di me avevano accettato le regole di quel gioco. E no, non mi sono mai posta le domande che si pone il personaggio di Margot Robbie alla fine perché io, che ho dubbi su tutto, non ne ho avuti sul mio comportamento, sapevo di non aver fatto nulla per giustificare quelle molestie e sapevo di poter pretendere di non stare a quel gioco. 





martedì 17 maggio 2022

A Milano puoi

Stasera alla Feltrinelli c'era la presentazione di un libro, "A Milano puoi". All'inizio ascoltavo distrattamente, mentre bevevo il primo Cold Brew della stagione. 

Poi ho sentito che si parlava della Creperia di via dell'Orso e allora ho iniziato ad ascoltare attentamente. 

L'autrice del libro, Francesca Noè, si rammaricava della scomparsa di un locale storico, sostituito da 'una catena", e si chiedeva perché rinunciamo alle nostre particolarità per omologarci e lasciare che Milano diventi una città come tutte le altre, con le stesse insegne delle altre.

Condivido il suo rammarico (alla Creperia ero affezionata) e anche il suo interrogativo, ma la risposta è facile: se i nostri locali storici chiudono, perché non possono più andare avanti, perché non c'è più nessuno che li manda avanti, allora per fortuna che ci sono le catene, che ci rendono come tutti gli altri, ma danno anche lavoro a molte persone. 

Il discorso si è spostato poi su quello che manca a Milano e una signora di Firenze ha detto che manca il lavoro per i giovani. Un lavoro che non li faccia sentire frustrati e per il quale possano essere pagati. 

È vero, ma gli stipendi occorre che qualcuno li paghi e ci dimentichiamo troppo spesso che aver chiuso il paese per due anni ha minato questa possibilità. 

Sempre la stessa signora ha detto che molti giovani vengono a Milano per lavorare e non ci stanno volentieri. Hanno elencato dei motivi, ma non credo che nessuno fosse corretto. 

"Non intervenire," mi ha detto mio marito. 

Eppure il motivo è semplice e io, che a Milano vivo da sempre, riesco a capirli questi ragazzi, che hanno lasciato una realtà e si trovano in un'altra completamente diversa. Ci stanno malvolentieri perché cercano quello che hanno lasciato, ma è proprio perché Milano è diversa dalla loro città d'origine che vengono qui. Se a Milano trovassero quello che hanno lasciato, non avrebbero bisogno di venire. 

E invece Francesca Noè ha detto che a Milano succedono tante cose, ma si ha sempre la sensazione di non essere protagonisti di quello che ci succede attorno. Non ci avevo pensato, ma in effetti nemmeno io mi sono mai sentita protagonista di quello che succede a Milano, solo che non me ne è mai importato nulla. Forse la differenza la fa essere cresciuti nell'era dei social network. 

Ho finito il mio Cold Brew senza intervenire ma questo libro credo che lo leggerò.


venerdì 6 maggio 2022

Femminismo e patriarcato

È diventato di moda il patriarcato, parola ripescata nel tempo, che ci fa sprofondare di colpo in un passato che, seppure vicino, è ampiamente superato. 

La parità dei diritti in Italia c'è, per fortuna le donne possono studiare, lavorare, votare e tutto il resto, esattamente come gli uomini, alla cui tutela non sono più sottoposte da tempo. Troppo poco tempo? Sì, ma è così. La prova della raggiunta parità è il fatto che chi sostiene il contrario si concentri su battaglie ridicole di desinenze, cognomi e fischi. Niente di serio. Perché concentrarsi sulle cose serie richiede fatica, impegno, qualche sacrificio. E questo sia per gli uomini che per le donne. 

Il vero ostacolo per alcune donne è proprio la mancanza di volontà di fare qualche sforzo per prendersi la parità. L'ostacolo è quell'attesa di un aiuto perché si è donne e quindi c'è un vuoto da colmare. In realtà non c'è nessun vuoto perché i vuoti si colmano con l'impegno. Ma dare la colpa a circostanze esterne è sempre comodo quando non si ha voglia di impegnarsi. Quando un uomo guadagna di più, difficilmente una donna pensa che se lo sia meritato e che sia lei a dover lavorare per migliorarsi. Un po' come quando la disparità avviene tra persone dello stesso sesso e allora, non potendo dare la colpa al patriarcato, la sì dà alle conoscenze, alle diverse condizioni di partenza. È sempre difficile ammettere che chi guadagna di più, chi è arrivato a una posizione più alta, è stato più bravo, più intelligente, si è impegnato di più.




martedì 3 maggio 2022

Follia

L'anno scorso, quando andavo al lavoro in macchina, mi capitava di ascoltare il finale di una trasmissione con Paolo Mieli che faceva la rassegna stampa. Non ero quasi mai d'accordo con lui, lo ascoltavo con fastidio, sperando che lasciasse presto il posto alla trasmissione successiva. Eppure lo consideravo una persona seria e preparata, sicuramente non un fanatico estremista.

Ieri sera ho ascoltato Mieli che, con la sua voce "noiosa come la pioggia", diceva che bisogna armare l'Ucraina per portarla a essere alla pari della Russia e da qui arrivare alla pace. 

Forse mi sfugge un'evidenza gigantesca ma mi sembra che stiamo andando incontro alla follia. La Russia ha il più grande arsenale nucleare, cosa vuol dire portare l'Ucraina alla pari? Dobbiamo davvero rassegnarci che la via della pace sia uno scontro nucleare? A quel punto, non mi importerebbe nemmeno più molto della pace, credo.