martedì 17 maggio 2022

A Milano puoi

Stasera alla Feltrinelli c'era la presentazione di un libro, "A Milano puoi". All'inizio ascoltavo distrattamente, mentre bevevo il primo Cold Brew della stagione. 

Poi ho sentito che si parlava della Creperia di via dell'Orso e allora ho iniziato ad ascoltare attentamente. 

L'autrice del libro, Francesca Noè, si rammaricava della scomparsa di un locale storico, sostituito da 'una catena", e si chiedeva perché rinunciamo alle nostre particolarità per omologarci e lasciare che Milano diventi una città come tutte le altre, con le stesse insegne delle altre.

Condivido il suo rammarico (alla Creperia ero affezionata) e anche il suo interrogativo, ma la risposta è facile: se i nostri locali storici chiudono, perché non possono più andare avanti, perché non c'è più nessuno che li manda avanti, allora per fortuna che ci sono le catene, che ci rendono come tutti gli altri, ma danno anche lavoro a molte persone. 

Il discorso si è spostato poi su quello che manca a Milano e una signora di Firenze ha detto che manca il lavoro per i giovani. Un lavoro che non li faccia sentire frustrati e per il quale possano essere pagati. 

È vero, ma gli stipendi occorre che qualcuno li paghi e ci dimentichiamo troppo spesso che aver chiuso il paese per due anni ha minato questa possibilità. 

Sempre la stessa signora ha detto che molti giovani vengono a Milano per lavorare e non ci stanno volentieri. Hanno elencato dei motivi, ma non credo che nessuno fosse corretto. 

"Non intervenire," mi ha detto mio marito. 

Eppure il motivo è semplice e io, che a Milano vivo da sempre, riesco a capirli questi ragazzi, che hanno lasciato una realtà e si trovano in un'altra completamente diversa. Ci stanno malvolentieri perché cercano quello che hanno lasciato, ma è proprio perché Milano è diversa dalla loro città d'origine che vengono qui. Se a Milano trovassero quello che hanno lasciato, non avrebbero bisogno di venire. 

E invece Francesca Noè ha detto che a Milano succedono tante cose, ma si ha sempre la sensazione di non essere protagonisti di quello che ci succede attorno. Non ci avevo pensato, ma in effetti nemmeno io mi sono mai sentita protagonista di quello che succede a Milano, solo che non me ne è mai importato nulla. Forse la differenza la fa essere cresciuti nell'era dei social network. 

Ho finito il mio Cold Brew senza intervenire ma questo libro credo che lo leggerò.


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