sabato 25 novembre 2023

Spogliatoi

"Marco è proprio figo".
"È vero, Filippo è bello ma non è figo".

Mesi fa, mentre mi cambiavo nello spogliatoio della palestra, mi erano arrivati questi frammenti di un discorso tra due ragazze e avevo sorriso, pensando che è bello essere giovani e che a volte ho una gran nostalgia di quando lo ero anch'io. 
Mi è ritornato in mente oggi, leggendo un post in cui si parla di discorsi da spogliatoio maschile, di quello che gli uomini dicono di noi quando sono tra loro e noi non ci siamo.  
E così mi è venuto in mente anche un brano letto tantissimi anni fa, quando ero giovane io e giravo tra le librerie come faccio ora: «Gli uomini, quando sono fra loro, parlano di sesso; le donne, quando sono fra loro, parlano d'amore. Cosa dedurre da questo paradosso? Che le donne sono ipocrite.»
Il libro era "L'angelo caduto" di Sally  Beaufort. Non lo comprai ma allora, a diciassette o diciotto anni, pensai che era vero e continuai a pensarlo per molto tempo. Del resto, ascoltavo molto di più i discorsi tra ragazzi di quelli tra le mie coetanee, che spesso mi annoiavano. I discorsi tra ragazzi invece mi facevano ridere, perché sapevo che erano esagerazioni dette per ridere e per far ridere.
Adesso, che ho alle spalle una lunga frequentazione di spogliatoi femminili, so che anche le donne parlano di sesso e che possono essere più volgari degli uomini, compiacendosi della propria volgarità molto più degli uomini, e per questo risultando più fastidiose. Ma l'ipocrisia resiste e appartiene alle donne quanto agli uomini, che non tollerano una battuta e che equiparano un fischio a uno stupro. 




domenica 12 novembre 2023

Parlare di vestiti

A me piace parlare di vestiti. Sarà che mia nonna era una sarta e l'ho sempre vista tagliare e cucire. Smembrare vestiti e ricomporli, perché magari era cambiato il gusto. Oppure farli dal nulla, per un'idea improvvisa. Mi aveva parlato tante volte di quanto avesse odiato la divisa da piccola italiana. Era stata una bambina povera ma preferiva i suoi vestiti rabberciati a quell'essere vestite tutte uguali. 

Io credo che i vestiti siano importanti, il miglior test della personalità, a partire dal momento in cui un particolare capo entra nell'armadio, all'occasione in cui si decide di indossarlo.

Al di là di ogni valutazione politica, ho trovato insopportabili le felpe di Salvini, ho riso per le cravatte troppo lunghe di Trump, provato affetto per l'abito della Bellanova (e soprattutto per la risposta a chi l'aveva criticato) e fastidio per le pochette di Conte. Non amo i gonnelloni larghi e lunghi della Meloni, ma adoro le sue giacche, in particolare quella nera con i profili bianchi. E l'altra sera, quando l'ho vista alla televisione con il completo rosa pallido, mi era sembrato molto bello. Da due giorni invece vedo rimbalzare le foto con quel completo, come esempio di una che si è vestita male.

Sempre al di là di ogni valutazione politica, credo che stia proprio qui la differenza tra me e quelle persone. Ma a me le differenze piacciono.



martedì 7 novembre 2023

C'è ancora domani

"Vieni a vedere il film della Cortellesi?"

Lì per li stavo per dire di no, perché la Cortellesi non mi è mai piaciuta molto. Non per altro, solo uer una questione di pelle, probabilmente di pregiudizio. 

Ho detto: "Vediamo."

Poi mia sorella mi ha detto che è bello, che sicuramente mi sarebbe piaciuto. Allora ho richiamato la mia amica e abbiamo fissato la data e l'ora.

Mi è piaciuto moltissimo, forse ancora di più di quello di Scirsese con Di Caprio e De Niro.

Mi è piaciuto vedere quell'Italia du cui mi parlava mia nonna, un mondo che non ho conosciuto, ma di cui mi è arrivato il riflesso e che forse fa parte di me.

E così all'uscita, tra i grattacieli di CityLife, mentre il sole stava scomparendo e l'aria iniziava a farsi umida e fredda, mi è rimasto un solo dubbio: cos'avrà votato mia nonna, in quelle prime elezioni del dopoguerra, le prime elezioni aperte alle donne?



martedì 10 ottobre 2023

Un cane palestinese

Molti anni fa, a Monaco, avevo conosciuto un palestinese. Era una persona simpatica e gentile, assolutamente priva di senso dell'orientamento. Nonostante vivesse a Monaco da tempo, non sapeva mai dove si trovasse. Era molto amico di una ragazza israeliana. Un pomeriggio, a una festa in cui i rappresentanti dei vari paesi si esibivano in balli e canti tipici, alla fine dell'esibizione degli israeliani, un piccolo cane sgusciò sotto al palco abbaiando. "Ein palästinensischer Hund!" urlò la ragazza. 

Sono passate un po' di vite da allora e da tanto tempo non pensavo a loro. Non so se vivano ancora tutt'e due a Monaco, o se siano ancora amici. In questi giorni però ho pensato a loro, e al cane palestinese. Al loro modo di essere amici, al di là delle loro nazioni e delle loro religioni. Solo come due persone.






mercoledì 23 agosto 2023

Mattinata a Lione





Stamattina a Lione cercavamo un posto in cui fare colazione. Abbiamo incrociato una ragazza che credo non avesse ancora vent'anni. L'ho notata perché aveva una abito a tuta di Mango di cui mi era arrivata un'offerta tramite email. Camminava veloce, sembrava allegra, mi ha fatto pensare alla leggerezza di quando si è giovani.

Abbiamo fatto colazione, qualche foto, un ultimo giro per la città. Poi siamo tornati verso l'albergo e l'abbiamo incontrata di nuovo, all'inizio del ponte sul Rodano. L'ho riconosciuta da lontano, perché ho riconosciuto ancora il vestito. Mentre le passavamo accanto, però, ho visto che piangeva.

Le ho chiesto se potevamo aiutarla.

"Ma cosa fai??" mi ha chiesto mio marito, tirandomi per un braccio.. 

Lei si è grata, mi ha sorriso e mi ha detto di no.

Adesso che sono ritornata a casa, spero che abbia dimenticato il motivo per cui piangeva, che sia rimasto solo il sorriso, perché anche dimenticare in fretta fa parte della leggerezza della giovinezza.

domenica 30 luglio 2023

Un capo per amico

La prima volta che l'ho visto lavoravo da pochi giorni nella  società in cui lui non lavorava più da qualche mese. Era venuto per un pranzo con i suoi vecchi colleghi, che erano i miei nuovi colleghi. Ci fece ridere tutto il tempo, con le sue battute, con i suoi aneddoti. Anche il cameriere rideva e, alla fine del pranzo, mi sembrava di conoscerlo da tempo. 

Lo rividi per una cena e qualche aperitivo. Quando tornò a lavorare nella stessa società e diventò il mio capo, lo conoscevo ormai bene. 

Avevamo scelto una causa comune, quella di tenere in vita la società per cui lavoravamo. Era una causa persa in partenza, ma noi ci credevamo.

Abbiamo combattuto insieme per quella causa, in tutti i modi in cui abbiamo potuto. 

Me ne andai pochi mesi prima che lui annunciasse la chiusura, ma non abbandonai la nostra causa. Ricordo i nostri pranzi, con le insalate comprate da Eats, oppure i nostri caffè, in cui ci scambiavamo preoccupazioni e consigli. 

In ogni momento, ci salvava il suo senso dell'umorismo, la sua capacità di vedere il lato positivo e di strappare una risata spontanea a tutti. 

Dopo aver annunciato la chiusura della società, mi chiamò. "Non ti ho mica detto che è morto qualcuno!" esclamò ad un certo punto. 

Adesso, dopo oltre dieci anni, risento le sue parole e non posso credere che non sentirò più la sua voce, che non risponderà più ai miei messaggi. Mi mancherà per sempre. 

Dico che mi passerà ma so che non è vero. Soltanto mi abituerò e forse, adesso che l'ho scritto, sto già iniziando. 



martedì 25 luglio 2023

Una ragazza

Non ci penso quasi mai. Era un pomeriggio di fine estate del 1994, stavo andando a iscrivermi in palestra e non sapevo se poi avrei avuto voglia di andarci. Aspettavo l'autobus quando era esploso un temporale fortissimo. In pochi secondi mi ero ritrovata completamente fradicia, poi avevo sentito un rumore fortissimo dietro di me e,, quando mi ero girata,, avevo visto un albero crollato a pochi passi.

Alla fine mi sono iscritta in palestra, quella sera ho conosciuto un caro amico, qualche giorno dopo mio marito. La mia vita è continuata. 

Lei invece non è stata altrettanto fortunata e oggi voglio pensare a lei, alle cose che avrebbe fatto, al futuro che non ha avuto. La vita può essere cattiva e insensata.




sabato 22 luglio 2023

Barbie, tra film e realtà




Un giorno di ferie a luglio e piove. Il cinema resta il miglior posto in cui andare, soprattutto se è appena uscito il film più atteso dell'anno: Barbie. Un film che si preannuncia demenziale fin dai trailer, fin dai vestiti di Margot Robbie, che sembrano una caricatura della mostra infanzia, quando il massimo della trasgressione era un vestito lungo, per poi scoprire, appena qualche anno dopo, che preferivano le minigonne. Eppure, fin dai trailer, traspariva l'ironia dell'interpretazione di Margot Robbie, una che è intelligente proprio perché sa ridere.

Bastava questo: vedere Margot Robbie vestita da Barbie, che si diverte,per aver voglia di andare a vedere il film. 

E poi c'è Ryan Gosling, forse ancora più ironico, perché lui interpreta Ken, la spalla della protagonista, quello che c'è quando serve, e che non importa dove sia quando non serve. 

La settimana scorsa Danda Santini scriveva che sua madre non le ha mai comprato una Barbie, perché non la considerava una vera bambola. A me la Barbie la comprò mia madre, quando io non mi ero ancora accorta che esistesse. Sicuramente in seguito ebbe modo di pentirsi, perché quella prima Barbie si portò dietro uno stuolo di sue simili, di varie etnie, di Skipper, di vestiti, scarpe, docce, roulotte e piscine. Persino un Ken.

Io credo che la Barbie sia una bambola formativa per la vita di una bambina proprio perché non è una bambola canonica, a cui devi fare da madre. Barbie è Barbie, che vive per se stessa, che si sceglie una professione, i vestiti, cosa fare della sua vita e delle sue giornate. Attraverso Barbie le bambine di varie generazioni hanno sognato il loro futuro, quel momento in cui sarebbero state grandi e avrebbero potuto scegliere le loro giornate senza più chiedere il permesso di fare qualcosa. 

Non importa se poi nella vita adulta quelle bambine hanno fatto altro da quello che avevano immaginato, tipo indossare una minigonna invece che un abito lungo. Quei pomeriggi di giochi hanno fatto capire loro che potevano decidere e essere. 

Da quello che avevo sentito, mi aspettavo la solita retorica femminista e vittimista, ma non è stato così. Mi è piaciuto il legame tra Barbieland e il Mondo Reale, i pensieri di chi gioca con le Barbie che si riflettono sulle bambole. Mi è piaciuto che finalmente si dicesse che può essere più facile vivere in secondo piano, cedere ad altri il potere di decidere. Mi è piaciuto che prevalga la voglia di fare quello sforzo e di uscire allo scoperto, nonostante la fatica che costa prendersi quello a cui troppo spesso si rinuncia. E infine mi è piaciuto il superamento della logica da toilette, di quella linea di demarcazione tra uomini e donne, la consapevolezza che nessuno debba prevalere.

Mi è piaciuto meno quello che ho visto in sala. 

Nonostante fosse un pomeriggio in settimana, c'erano parecchie persone, quasi tutte donne. C'erano ragazze con addosso qualcosa di rosa, quasi tutte con dei top, alcune con addirittura la scritta Barbie. 

Purtroppo alcune con la pancia che strabordava dallo spazio tra il top e la gonna e un enorme secchio di popcorn appoggiato accanto, nello spazio apposito del poggiabraccio. Perché nei cinema di adesso non può mancare lo spazio per i popcorn. E anche le dimensioni devono essere esagerate e enormi. Così come non possono mancare dei bicchieroni di bibite zuccherate. Sono dimensioni e cibi che abbiamo importato dagli USA, come Barbie. Eppure Barbie, con il suo fisico troppo perfetto, con i suoi vestiti invidiabili, non è riuscita a far venire voglia alle ragazze di alimentarsi in modo sano, non tanto per entrare in quei vestiti, ma per non compromettere la propria salute. 





martedì 13 giugno 2023

Saper tacere

Il 7 agosto 1938, mentre stava scrivendo "Romanzo teatrale", una critica feroce contro Stanislavskij, il direttore del Teatro dell'Arte di Mosca, Bulgakov ricevette la notizia della sua morte.

«Di lui non c'è più niente da dire. Egli è morto,» stabilì. E non ne parlò più, interrompendo il romanzo. 

Lessi questo aneddoto dopo aver acquistato il libro, mentre tornavo a casa, e mi irritai: avevo comprato un libro che l'autore aveva deciso di non finire. 

Solo tempo dopo, dopo averlo letto, capii che in fondo la parte più importante era proprio quel non detto, quel non scritto, quella decisione di tacere. Non è da tutti.

Ci ho ripensato ieri, quando la morte di Berlusconi ha buttato all'aria la nostra giornata. Sarà l'ultima volta che entra nelle nostre vite. O meglio, la sua adesso è un'uscita e non poteva essere diversa perché, nel bene e nel male, comunque la si pensi, è stato l'uomo più importante degli ultimi trent'anni in Italia. 

Non votai per lui nel 1994, non so nemmeno se ascoltai il suo discorso di discesa in campo, perché allora internet non era a portata di mano, una cosa o la sentivi o non potevi recuperarla. Probabilmente ieri è stata la prima volta che l'ho ascoltato e l'ho trovato bellissimo. È uno di quei discorsi che, se l'avessi ascoltato oggi, mi sarebbe piaciuto molto. Ma oggi conosco la cappa della mancanza di libertà, dell'imposizione di un pensiero e della difficoltà di esprimerne un altro. Allora, nel 1994, avevo la libertà e la giovinezza che credevo non se ne sarebbero mai andate.

I discorsi e le immagini di ieri mi hanno riportato alla memoria così tanti ricordi di un tempo che è sparito ma a cui ripenso volentieri. Berlusconi non mantenne le promesse di quel suo discorso. Forse gli ostacoli che si trovò davanti erano troppo alti. Forse perse la voglia. Eppure anche ieri è emersa la differenza tra chi quegli anni li ha vissuti in un modo e chi in un altro. Tra chi riesce a rifugiarsi nell'ironia e chi non riesce a tacere nemmeno davanti a una bara aperta. 



giovedì 18 maggio 2023

L'ostinazione di vivere

È già il secondo anno che lo fa. Avevo deciso che basta, non c'è più niente da fare, ormai il gelsomino è morto, questo weekend dobbiamo comprarne un altro. 

E allora lui, proprio in questo momento, mi fa capire che è ancora vivo, che sta provando a vivere. Non so se riuscirà, non so se prima o poi torneranno i rami lunghi e i fiori bianchi, ma finché sarà vivo non lo sradichero. 

La sua ostinazione a vivere è una delle cose più belle nella devastazione di questa primavera che non vuole arrivare. 




sabato 15 aprile 2023

Mamma Orsa: tra natura e civiltà

Mamma Orsa ha ucciso un runner. Un ragazzo innocente, di vent'anni, che era uscito di casa per correre e, siccome abitava nel bosco, correva nel bosco. Mamma Orsa non aveva nessun motivo per ucciderlo, non era un pericolo per i suoi piccoli e non era una preda, anche se correva. Ma Mamma Orsa non è l'orso Yoghi e nemmeno Winnie the Pooh: non si spiega, non capisce, non ascolta. E adesso si parla dell'orso assassino, dell'orso colpevole, della voglia di giustizia. Si applicano categorie umane all'orso, senza capire che l'errore è proprio quello, aver umanizzato gli animali dimenticando che umani non sono.

La natura purtroppo non è buona e nemmeno giusta, non sono animali e uomini che vivono in pace. La natura è sopraffazione, è l'animale più forte che uccide il più debole. La difesa dei più deboli è civiltà, non natura. 

La natura è il leone che divora un piccolo giraffino, come avvenne in un documentario che mi turbò molti anni fa. La natura è il rottweiler che sbrana la donna che gli porta il cibo e la colpa non è mai dell'animale ma dell'uomo che non ne ha compreso il potenziale. 

Come mi ha fatto notare un'amica qualche anno fa, l'uomo delle caverne non coltivava pomodori e cetrioli per fare l'insalata ma cacciava gli animali per nutrirsi della loro carne. L'insalata non è natura, è civiltà, è se io mangio l'insalata,  la carne e il pesce è solo perché preferisco la civiltà alla natura. 


sabato 11 marzo 2023

Chat

Ogni tanto qualcuno me lo chiede e rispondo di no, non leggo il contenuto delle chat, quelle chat, non ho nessuna voglia. E poi so già cosa c'è scritto, lo sapevo anche tre anni fa e lo scrivevo qui. Era evidente e semplice da capire, per chi avesse voglia di farlo. Il problema non sono mai stati gli errori del primo momento, le decisioni prese di fretta, quando non si sapeva niente. Il problema è stato chi ha voluto cavalcare quegli errori, chi non ha voluto aprire gli occhi e guardare oltre. Il problema è stato chi additava gli altri se uscivano di casa o se passavano più tempo del dovuto fuori. Non è un problema che si risolve con un'inchiesta.




giovedì 9 marzo 2023

Smart working

 La ragazza che aveva l'armadietto accanto al mio stasera in palestra si lamentava con un'amica perché, se va al lavoro due volte la settimana, la guardano male. 

"Il fatto è che qui tutti vogliono andare in ufficio. Poi quando vado ci sto bene, è un bell'ambiente, si sente che è un bel gruppo. Ma se vado in ufficio poi non riesco più a fare niente, a venire qui, a uscire la sera..."

Sembra incredibile che per anni siamo riusciti ad andare in palestra, a fare la spesa, a uscire la sera, pur andando in ufficio cinque giorni la settimana. Tra gli effetti del long covid, c'è quello di averci fatto invecchiare e sono già invecchiati anche molti giovani.




sabato 11 febbraio 2023

Monologhi a Sanremo

"Perché non guardi Sanremo?"

Io in realtà lo guarderei anche, anzi, è proprio il genere di spettacolo comodo da ascoltare mentre si fa altro, per esempio stirare. Ma mio marito non vuole saperne di vedere Sanremo, e tra di noi il musicofilo è proprio lui. E forse è proprio perché a Sanremo la musica è l'ultima cosa, solo un pretesto per una serie di sermoni.  

Martedì sera poi c'era Heat, un film che abbiamo visto e rivisto ma che non riusciamo a non rivedere ogni volta, anche se finisce tardissimo. Non si può vedere Sanremo quando c'è Heat.

Io però so quasi tutto del festival perché ho amici che commentano e mi tengono informata. E poi i monologhi li ascolto il giorno dopo, mentre faccio colazione, perché a me i monologhi piacciono sempre, anche quelli in cui vengono dette cose che non mi piacciono. E quest'anno mi è piaciuto molto quello di Francesca Fagnani, mi è piaciuto quasi quanto quello della Ferilli dell'anno scorso. In tutti gli altri ci ho trovato invece quel vittimismo facile e falso che sopporto sempre meno, quella voglia di incolpare a tutti i costi qualcuno anche quando non c'è davvero niente che sia andato storto.



Poi vedo una foto, è la Cuccarini che scende le scale, con una minigonna come quelle che ha sempre indossato. In quella foto c'è tutta la semplicità della felicità di una persona di essere se stessa, senza lagne, senza rosicamenti, accettando anche quello che storto è andato davvero. E questa foto vale più di qualsiasi monologo. È lei la vera vincitrice del festival, con il suo essere rimasta una ragazza con la minigonna, nonostante tutto, una perennial più ancora di Jennifer Lopez, come Raffaella Carrà, che il festival lo condusse davvero, tanti anni fa. 

domenica 8 gennaio 2023

Milanesità


Leggo l'intervista a Greta Sclaunich di Milano Città Stato. Apprendo che Greta Sclaunich è una giornalista friulana che vive a Milano da tredici anni e che tuttora non riesce a definirsi milanese, come tante altre persone che sono nate e cresciute a Milano ma hanno genitori provenienti da altre parti. 

Poco tempo fa notavo invece esattamente il contrario, persone nate e cresciute da altre parti che si definiscono milanesi dopo pochi mesi o dopo aver comprato casa. È una cosa che da un lato mi rende felice perché queste persone si sentono a casa loro nella mia città. D'altra parte mi intristisce un po' che non esitino a rinnegare un retaggio culturale che io non rinnegherei mai. Io resterei milanese anche se vivessi a Londra o a Parigi e anche se credo che mi troverei molto bene sia a Londra che a Parigi.  Ho passato lunghi periodi a Monaco di Baviera, al punto di considerarla una seconda città, ma non ho mai smesso di considerarmi milanese. Anzi, mi scopro ancora più milanese quando sono lontana dalla mia città. 

Non amo i dialetti e ritengo un punto di forza che Milano abbia abbandonato il suo. Ma sono convinta che il linguaggio costruisca e connoti il pensiero. Ho avuto nonni che, pur conoscendo l'italiano, parlavano in milanese tra di loro o con persone di famiglia. Il milanese era per loro una lingua di famiglia e anche se io non lo parlavo e rispondevo in italiano, l'ho sempre capito. I miei genitori parlano italiano ma ogni tanto usano una particolare espressione in milanese per rendere una certa idea che l'italiano non riuscirebbe a rendere con la stessa forza. Sono di solito quelle espressioni da cui scaturisce maggiormente la filosofia di vita milanese, un certo nervosismo e una certa voglia di fare.

Milano si è sempre nutrita e rinnovata grazie ai milanesi di importazione, ma la loro milanesità è sicuramente diversa dalla mia perché diverso è il nostro retaggio culturale. 

Milano è sempre stata una città che cerca la velocità, il milanese d'importazione Leonardo da Vinci arrivò nella Milano di Ludovico il Moro che cercava un sistema di trasporto che rendesse più facili gli spostamenti. Per questo mi infastidiscono un po' le persone come Greta Sclaunich, che invece vorrebbero ingessare gli spostamenti e che chiedono più piste ciclabili a un sindaco che sta dando fondo alle piste più fantasiose. Anche la retorica della misura d'uomo stanca perché la misura d'uomo è tanto più piccola quanto più è limitato l'uomo. E Milano è sempre stata animata dallo spirito dei milanesi, che, per quello che li ho conosciuti io, vogliono andare oltre quei limiti. È quella spinta ad andare oltre i limiti che ha permesso ai non milanesi di trovare qui il lavoro che cercavano, ma senza quella, imponendole dei limiti che la snaturerebbero e la trasformerebbero in un paesone, Milano avrebbe ben poco da offrire e non avrebbe più senso trasferircisi. Perché resta la città di Ludovico il Moro e di Carlo Cattaneo e prescindere dalla sua eredità culturale significa distruggere il retaggio culturale che è la sua essenza.